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Anziani e patologie cardiocerebrovascolari: l'esercizio fisico domiciliare ai tempi del Covid.

Le patologie cardiocerebrovascolari, come dice la parola stessa, colpiscono i distretti cardiaco (angina pectoris, infarto micardico, aritmie, ipertensione arteriosa, ecc.) cerebrale (ictus ischemico, ictus emorragico, TIA, ecc.), periferici (arteriopatia periferica degli arti inferiori, trombosi venosa profonda).

Nel 90% dei casi, l'origine di queste patologie è data da arterosclerosi, processo progressivo che si sviluppa a livello delle arterie nei vari distretti del corpo, e che si manifesta solitamente dalla quinta, sesta decade di età e che può dare luogo ad eventi acuti come quelli sopracitati, o condizioni croniche patologiche.

I dati statistici ci dicono che oltre i 70 anni di età, il 20% dei soggetti soffre di malattie cardiovascolari e il 6% di malattie cerebrali. 1 persona su 2 soffre di una o più di una di queste patologie.

Ad oggi (la ricerca è del 2016) le patologie cardiocerebrovascolari (CVD) rappresentano la prima causa di morte al mondo (32,3%). Negli USA, 1 persona ogni 37 secondi va incontro a decesso per CVD.


Naturalmente ci sono fattori di rischio predisponenti, suddivisibili in due grandi categorie:

-non modificabili: età, etnia, familiarità

-modificabili: inattività fisica, dislipidemia (aumento del colesterolo), ipertensione, diabete (tipo 1 e

2), abitudine tabagica, sovrappeso, dieta squilibrata.

L' attività fisica, oltre ad essere un fattore protettivo indipendente contro le patologie CVD, ha azione diretta sul controllo e riduzione degli altri fattori di rischio.


Un'interessante revisione pubblicata su Cochrane nel 2016 dimostra come l'esercizio fisico strutturato e ripetuto, riduca la mortalità cardiovascolare, l'ospedalizzazione e migliori la qualità della vita, indipendentemente dalla tipologia dei pazienti (rischio calcolato del -450% rispetto al soggetto inattivo).

E ancora, uno studio recentissimo del 2020, ci dice che in paziente colpito da ictus, con esiti stabilizzati, l'esercizio fisico è sicuro, che si tratti di esercizio personalizzato aerobico, di forza, di coordinazione e di equilibrio, riducendo la disabilità da stroke.

Non in ultimo -gli studi sono del 2016 e 2019- in soggetti affetti da patologie vascolari periferiche, dopo 12 settimane di esercizio di cammino migliorano sia la mobilità che la qualità della vita del paziente. L'attività fisica nei pazienti con arteriopatia periferica è associata ad una riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause.


Naturalmente ciò che fa differenza in questi casi, sono la frequenza, l'intensità, la tipologia e la durata (fit principle) dell'esercizio.

Le linee guida internazionali identificano, per ogni individuo, sessioni di 150 minuti di attività fisica moderata alla settimana o 75 minuti ad intensità vigorosa, intervallate o continue, abbinate ad esercizi di forza, coordinazione e di equilibrio. Anche in presenza di CVD, le indicazioni restano le medesime, dimostrando, anzi, una riduzione del 14 % dell'incidenza della malattia. Ecco perchè l'esercizio fisico deve essere incorporato nella gestione della persona affetta da stroke.


"Moderato" e "vigorosa" hanno significato preciso, e affidarsi ad un professionista del movimento, che sappia spiegare questo, permetterà di strutturare un percorso di rieducazione efficace.

Nelle patologie vascolari periferiche a stadi intermedi, l'esercizio fisico supervisionato è raccomandato, insieme all'ottimizzazione della terapia medica, come trattamento primario, dal momento che questo migliora la funzionalità sistemica e la qualità della vita

(livello di evidenza I A).


Ed ora che la situazione Covid tiene chiusi in casa migliaia di anziani, come possiamo mantenere gli standard tanto auspicati per la salute?


Dopo 2 settimane di inattività, l'efficienza cardiorespiratoria e muscolare cala significativamente.

Dopo 8 settimane diminuisce la gittata sistolica, cala la capacità respiratoria, aumenta la frequenza cardiaca, aumentano i depositi di grasso, cala l'efficienza muscolare.

Un bellissimo studio del 2011 indaga la risposta strutturale dei vasi come risposta all'inattività, e mette in luce una riduzione del 20% del diametro dell'arteria femorale dopo 4 settimane di stop completo da esercizio fisico.

Sebbene queste ricerche possano sembrare di poco impatto all'atto pratico, la realtà è ben diversa, poichè l'inattività fisica porta ad un circolo vizioso: perdita di massa muscolare significa progressivo decondizionamento e disabilità, con maggiore fatica nelle attività quotidiane e crescente sedentarietà.


Da un punto di vista scientifico, l'esercizio che più "modella" , aumentando, il volume del cuore e dei suoi vasi, è l'esercizio di endurance.

Nei pazienti CVD sarà allora indispensabile introdurre lavoro aerobico, primo tra tutti, il cammino.


"Ma come faccio a camminare se sono chiuso in casa e non ho un treadmill per farlo? E poi, per quanto tempo devo camminare? A che velocità? quante volte a settimana?"


Ebbene, esistono dal 2004, protocolli DOMICILIARI rieducativi "safe" scientificamente convalidati (non fidatevi di chi vi propone esercizi "casuali" fingendoli organizzati!) sia in pazienti CVD che diabetici, che permettono alla persona di rendersi attiva e indipendente, senza andare incontro a decondizionamento e mantenendo alta la condizione generale fisica e fisiologica della persona.

Accanto a questi protocolli , esistono numerosissimi esercizi di forza, equilibrio, coordinazione, flessibilità, di facile gestione per la persona anziana , che aiutano a mantenere mobile, forte e allungata la struttura del paziente.


E' importante educare e aiutare questi pazienti, che spesso non trovano supporto nella gestione standard della situazione in cui ormai siamo obbligati da oltre un anno.

Questo permetterà loro di guadagnare indipendenza e migliorare la qualità della vita.





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